IBS E ALIMENTAZIONE

l’importanza dell’alimentazione IN CASO DI SINDROME DEL COLON IRRITABILE

Cos’è la sindrome del colon irritabile

Il colon irritabile (Irritable Bowel Syndrome, IBS) è una sindrome funzionale molto frequente dell’intestino in assenza di lesioni anatomiche specifiche. L’IBS può essere definita come un disturbo cronico e ricorrente delle funzioni dell’apparato gastrointestinale. Essa interessa il colon e l’intestino tenue con alterazioni delle funzioni motorie, della sensibilità dolorosa e della secrezione di liquidi. Queste attività del tubo digerente (motilità, sensibilità e secrezione) sono regolate dal cervello, che può interagire in modo improprio ed anomalo con l’intestino, ed è perciò che l’IBS viene anche chiamata disturbo dell’asse cerebro-intestinale. Queste alterazioni possono produrre sintomi quali il dolore o lo sconforto addominale, il gonfiore addominale (sensazione di ripienezza di gas) e cambiamenti nelle funzioni intestinali quali diarrea e/o stitichezza. 

Per la maggior parte delle persone l’IBS, come detto rappresenta una condizione cronica, in cui l’intestino ha perso la capacità di contrarsi e rilassarsi in maniera coordinata e questo può determinare contrazioni più forti e più lunghe del normale e il cibo può essere spinto nell’intestino più velocemente causando la formazione di gas e diarrea.

In altre persone il transito viene invece rallentato, con conseguente insorgenza di stipsi. L’equipe australiana guidata dalla dottoressa Sue Shepherd della Monash University studia dal 2001 una dieta che permetta una diminuzione dei disturbi: la low FODMAPs diet, con ottimi risultati scientifici. Negli Stati Uniti la IBS è presente in circa il 10-20% delle persone; di queste, per una percentuale variabile tra il 10 e il 33% si ritiene necessario l’intervento medico. La diagnosi di tale sindrome, la cui eziologia rimane di difficile interpretazione, viene posta più comunemente nelle donne che negli uomini, con un rapporto tra 2:1 e 3:1, ad un’età compresa tra i 20 e i 40 anni; questo dato ha portato ad ipotizzare il coinvolgimento di fattori ormonali. L’esordio della sindrome è abitualmente antecedente ai 30 anni.

Clinicamente l’IBS, che come sopra accennato si manifesta nella maggior parte dei casi con dolori addominali o crampi, si può presentare in tre varianti:

  • dolore addominale cronico e stipsi;
  • alternanza di stipsi e diarrea;
  • diarrea cronica senza dolore.

Eziologia

La causa della sindrome dell’intestino irritabile è sconosciuta. I disturbi della motilità intestinale possono essere determinati da cause fisiche o psicologiche, sebbene al momento non siano stati individuati stress specifici o tipi di risposta noti. Alcuni pazienti hanno disturbi d’ansia (depressione e disturbi di somatizzazione), stress e situazioni ad elevato impatto emotivo che non sempre coincidono con l’esordio dei sintomi e la recidiva. I sintomi della sindrome dell’intestino irritabile sembrano essere favoriti da varietà di alterazioni della normale fisiologia. Essi comprendono alterazioni della motilità, aumento della sensibilità intestinale (iperalgesia viscerale) e vari fattori genetici e ambientali. Nell’ambito della sindrome gioca poi un ruolo importante anche l’attivazione immunitaria/infiammazione intestinale. Il sistema immunitario è il principale sistema immunitario del corpo umano.

Sintomi

I sintomi caratteristici del colon irritabile sono il dolore addominale, che si allevia dopo l’evacuazione di feci o gas, stipsi, diarrea, presenza di muco bianco giallastro nelle feci, meteorismo, nausea, borborigmi, gonfiore addominale e cattiva digestione. I sintomi spesso si attenuano con la defecazione.
Sono molte le cause del dolore addominale, ma nell’IBS esso è associato a cambiamenti dello svuotamento intestinale o evacuazione, che si manifestano con diarrea e/o stitichezza.
Persone che soffrono di IBS possono avere prevalentemente diarrea, oppure prevalentemente stitichezza, o invece alternare periodi di diarrea alternati a stitichezza. I sintomi possono cambiare nel tempo: possono esserci periodi con sintomi molto intensi, come periodi in cui i sintomi si attenuano o spariscono del tutto.
Un sintomo molto comune nell’IBS è il gonfiore della pancia, ovvero una sgradevole sensazione di ripienezza di gas al giro vita.
Fluttuazioni ormonali interferiscono con l’attività intestinale nelle donne. La sensibilità rettale aumenta durante le mestruazioni ma non durante le altre fasi del ciclo mestruale. Gli effetti degli ormoni sessuali sul transito gastrointestinale sono sottili. I fattori emotivi, alimentari, ormonali o l’assunzione di farmaci possono scatenare o aggravare i sintomi gastrointestinali.

Diagnosi

Il medico, per la diagnosi della sindrome dell’intestino irritabile, si basa sulle caratteristiche dell’alvo, sull’insorgenza e sulle caratteristiche del dolore e sull’esclusione di altri processi patologici attraverso l’esame obiettivo e gli esami diagnostici di routine. In particolare:
  • Valutazione clinica, basata su criteri di Roma
  • Screening per cause organiche con esami di laboratorio di routine e la sigmoidoscopia o colonscopia
  • Altri test per i pazienti con segni d’allarme (p. es., sanguinamento rettale, perdita di peso, febbre)

Il ruolo dell’alimentazione nell’IBS

Esiste un legame fra dieta seguita e sintomi addominali e questo è largamente riconosciuto. Molti elementi dietetici (come glutine, grassi, latticini, caffè e alcol) possono provocare sintomi gastrointestinali. Nella sindrome da intestino irritabile (IBS) il peggioramento dei sintomi postprandiali, come anche reazioni avverse a uno o più cibi sono un aspetto comune e un’intolleranza ai cibi self-reported è associata a più sintomi, determinando una ridotta qualità di vita. In linea con ciò, circa due terzi dei pazienti con IBS escludono una serie di alimenti dalla propria dieta nell’intento di migliorare i sintomi tipici. Infatti, numerosi pazienti con IBS riferiscono un’esacerbazione dei sintomi correlata all’introduzione di alcune tipologie di cibo, che può essere dovuta in parte a una vera e propria intolleranza ad alcuni alimenti, ma che può essere anche legata ad una ipersensibilità viscerale o a modificazioni del microbiota intestinale. A dispetto di tutto questo, non vi è alcuna evidenza che supporti un’inadeguata assunzione di nutrienti nella maggioranza dei pazienti con IBS. L’attenzione rivolta agli alimenti come possibili fattori eziopatogenetici e/o esacerbanti dei disturbi gastrointestinali va crescendo nei recenti lavori scientifici; in particolare, si è incentrata su alcune molecole presenti in varie classi di alimenti che sembrerebbero peggiorare la sintomatologia dei pazienti affetti da IBS. Queste sostanze vengono indicate con il termine “FODMAP”, forme di carboidrati che, in persone con un’aumentata sensibilità intestinale, creano disturbi riconducibili all’IBS. Il microbiota intestinale può essere significativamente modificato dall’introduzione di FODMAP.

La dieta a basso contenuto di FODMAP

 

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L’acronimo FODMAP sta per “fermentable oligo-, di-, mono-saccharides and polyols”, ossia “oligosaccaridi, disaccaridi e monosaccaridi fermentabili e polioli”.

I FODMAP sono carboidrati a catena corta scarsamente assorbiti. Questi comprendono fruttosio, lattosio, fruttooligosaccaridi, galattooligosaccaridi (fruttani e galattani) e polioli (come sorbitolo, mannitolo, xilitolo e maltitolo). Tutti hanno in comune tre proprietà funzionali:

  1. sono scarsamente assorbiti dall’intestino tenue
  2. sono molecole piccole e quindi osmoticamente attive
  3. sono dei batteri a fermentazione rapida

I cibi ad alto contenuto di FODMAP includono quelli con eccesso di fruttosio (miele, pesche, frutta essiccata), fruttani (grano, segale, cipolle), sorbitolo (albicocche, prugne, dolcificanti) e raffinoso (lenticchie, cavoli, legumi). Questo tipo di molecole sono scarsamente digeribili e/o assorbibili nell’intestino tenue. Il ridotto assorbimento può essere dovuto ai lenti meccanismi di trasporto attraverso l’epitelio intestinale (fruttosio), alla ridotta attività delle idrolasi sull’orletto a spazzola (lattosio), alla mancanza di idrolasi (fruttani e galattani) e alle discrete dimensioni delle molecole che non riescono a passare per semplice diffusione (polialcoli).

Proprio per le caratteristiche sopra descritte, tali molecole vengono rapidamente fermentate dalla flora batterica e la velocità della fermentazione è influenzata dalla lunghezza della catena del carboidrato: oligosaccaridi e zuccheri semplici sono fermentati molto più rapidamente dei polisaccaridi. Il lattosio, se non scisso, viene fermentato dalla microflora intestinale, con conseguente produzione di gas, causando crampi addominali, flatulenza, gonfiore e diarrea. Il fruttosio, se assunto in quantità significative, può eccedere la capacità del trasportatore, con conseguente malassorbimento e disturbi intestinali causati dalla fermentazione batterica a livello dell’intestino crasso I fruttoligosaccaridi (FOS), i fruttani con un basso grado di polimerizzazione della catena e i galattani, sono osmoticamente attivi e rapidamente fermentabili, il che può determinare la comparsa di sintomi gastrointestinali indesiderati tra cui flatulenza, meteorismo, dolori addominali e diarrea. L’eccessiva assunzione di polialcoli (ossia sorbitolo, mannitolo, altitolo, xilitolo e isomalto), può causare l’insorgenza di sintomi gastrointestinali paragonabili a quelli del malassorbimento del lattosio e fruttosio.

 

È ormai condiviso che una dieta a basso contenuto di FODMAP (dieta low- FODMAP) aiuta a ridurre i sintomi tipici dell’IBS ed a migliorare lo stato di benessere dell’individuo, soprattutto relativamente al grado di soddisfazione sociale.

Alcuni studi hanno dimostrato che la dieta a basso contenuto di FODMAP migliora efficacemente i sintomi nei pazienti con IBS. In uno studio di Staudacher, pazienti con IBS che hanno seguito una dieta a basso contenuto di FODMAP hanno presentato una migliore risposta dei sintomi intestinali sia nel complesso sia individualmente (ad esempio bloating, dolore addominale, flatulenza) raffrontati a pazienti che hanno seguito una dieta standard.

In un recente trial condotto in Australia da Halmos, dove è stata comparata una dieta a basso livello di FODMAP con una tipica dieta australiana che include un’alta percentuale di FODMAP, per un periodo di 21 giorni ciascuna, i pazienti con i più bassi punteggi sui sintomi gastrointestinali sono stati quelli a dieta a bassi livelli di FODMAP, rispetto agli altri pazienti che erano stati sottoposti a dieta australiana. Gli Autori concludono che, visto l’alto livello di evidenza, la dieta a basso contenuto di FODMAP può essere utilizzata come terapia first-line.

La risposta favorevole alla dieta low-FODMAP è stata generalmente ritenuta come dovuta principalmente all’assenza di glutine; alcuni pazienti con IBS hanno riferito un significativo miglioramento dei sintomi gastrointestinali e non gastrointestinali come la stanchezza mentre effettuavano una dieta gluten-free.

Il punto di forza della dieta a basso contenuto di FODMAP è la restrizione contemporanea di tutti gli alimenti che possono creare problemi in soggetti affetti da IBS, al contrario di altri approcci dietetici che mirano alla completa e definitiva eliminazione di solo una parte di essi (ad esempio bandendo tutti i latticini e i prodotti contenenti lattosio).

In caso di IBS non si tratta di intolleranza, ma di malassorbimento, al regime dietetico low-FODMAP deve essere associata una rieducazione alimentare, nell’ottica di una scelta consapevole dei vari alimenti e di una limitazione all’adesione dei modelli alimentari restrittivi, monotoni e molto spesso ingiustificati.

Nella fase iniziale della dieta è opportuno eliminare gli alimenti ad alto contenuto di FODMAP per almeno quattro/sei settimane fino ad otto (dieta di esclusione completa). Nella maggior parte dei casi i miglioramenti sono visibili già nella prima settimana di dieta. Successivamente si procede ad una graduale reintroduzione degli alimenti ad alto contenuto di FODMAP. Si reintroduce quindi un alimento appartenente a ciascun gruppo ogni settimana (schema a quantità incrementanti), valutando attentamente la reazione individuale. In caso si verifichi una reazione avversa è opportuno fermare la reintroduzione dei FODMAP per due-cinque settimane, di modo da permettere all’intestino di ritornare ad uno stato non infiammato.

Si procede quindi gradualmente alla reintroduzione degli alimenti. Ciò permette di identificare quale o quali dei FODMAP siano effettivamente responsabili del quadro di intestino irritabile: di norma se ne arrivano ad identificare tra 1 e 4 diversi, che verranno esclusi dal regime alimentare ordinario portando, se non intervengono altri fattori, ad una permanenza di un quadro intestinale stabile.

I diversi studi scientifici hanno convalidato l’efficacia di una dieta a basso contenuto di FODMAP e priva di glutine nel miglioramento dei sintomi dei pazienti affetti da IBS. L’approccio low-FODMAP dà buoni risultati se attuato correttamente da personale esperto e qualificato: infatti, andando ad escludere importanti varietà di alimenti appartenenti a diverse categorie (cereali, latticini e specialmente frutta e verdura) in certi individui, soprattutto se compromessi da altre patologie o che si trovano in particolari condizioni fisiologiche, può presentarsi il rischio di carenze o deficit nutrizionali importanti. Un periodo di dieta low-FODMAP, indicata da personale qualificato, non comporta al contrario rischi per la salute, ma offre un’opportunità all’individuo di conoscere meglio gli alimenti e poter compiere scelte più consapevoli in relazione alla sintomatologia che si presenta in seguito all’ingestione di un particolare alimento.

 

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